Un ruolo che ha sempre meno interpreti
Andrea Pirlo e David Pizarro sono nati nel 1979. Xavi Hernandez è un 1980. Sono loro gli ultimi grandi interpreti di una posizione basilare nella storia del calcio: il regista o volante di centrocampo. Un ruolo che si sta modificando, sta perdendo di poesia, con centrocampisti centrali sempre più fisici, capaci negli inserimenti e meno dotati del classico lancio da 40 metri sui piedi del compagno. All'orizzonte, di registi veri, non ce ne sono più.
Ancora per qualche anno, i nostri occhi saranno deliziati dalla classe dei tre prestigiatori di Barcellona, Milan e Roma. Ma non solo da loro: a Palermo Liverani (34 anni) è ancora indispensabile, nel Real e nella Spagna Mondiale Xabi Alonso (29) continua a non essere in discussione, Scholes (35) ha le ultime cartucce da sparare di una straordinaria carriera, Gerrard (30) a Liverpool sa ricoprire anche questa veste, D'Agostino (28) può ritrovarsi a Firenze, Ledesma (28) nella Lazio è capace di ottime prestazioni. Dietro a questi, il vuoto più profondo.
E la principale motivazione è una sola: il calcio è completamente cambiato. Può sembrare retorica o banalità, ma tutte le squadre professionistiche, di alto e basso profilo, ora cercano giocatori in grado di correre, segnare, rubare palloni: uomini bionici, anche dai piedi buoni, ma che non hanno più le caratteristiche del classico "barometro" davanti alla difesa, con intelligenza tattica, a dettare i tempi e impostare ogni singola azione.
Se pensiamo, ad esempio, ai vari Cambiasso, Essien, Lampard, Yaya Tourè, Carrick, De Rossi, capiamo la notevole differenza. Tutti grandi centrocampisti, ma nessun vero e proprio regista. E le giovani leve assomigliano a questi. Da Schweinsteiger a Khedira, da Fabregas a Marchisio, da Iniesta a Milner, fino ad Hamsik. Tutti bravi ad inserirsi, con senso del gol, perfettamente in grado di servire gli attaccanti o il trequartista davanti a loro.
Proprio qui sta la differenza principale: con gli anni il regista si è spostato sempre più avanti, fino a diventare "solamente" un trequartista. Dietro si punta più sul centrocampista di rottura: Van Bommel e De Jong, nell'Olanda seconda al Mondiale, ne sono l'esempio più concreto. Rompere le trame avversarie, correre e servire Sneijder dieci metri più avanti.
Agli appassionati più romantici non può però sfuggire che tra gli anni '50 e gli anni '90, il calcio è stato invaso da autentici fuoriclasse in grado di svariare a tutto campo, da registi esemplari, con un unico obiettivo di gioco: cucire difesa e attacco con più qualità possibile. Un ruolo che è stato di Suarez, di Schiaffino, di Liedholm o Falcao, di Antognoni, Matthaeus, Gerson o più recentemente di Redondo, Paulo Sousa e Albertini.
Nomi che hanno fatto la storia di questo sport, pur giocando a 40/50 metri dalla porta avversaria. Nomi indimenticabili per chi ama il gesto tecnico, il lancio in profondità, le "sciabolate morbide" e i cambi di gioco. Allora lunga vita ai Pirlo, ai Pizarro e agli Xavi, ultimi esponenti della regia dai piedi buoni.