Marco Materazzi non è maai stato un giocatore normale. Idolatrato dai suoi tifosi, sempre odiato da quelli avversari. Nel mondo ancora si ricordano di lui per la testata che gli diede Zinedine Zidane nella finale dei Mondiali di Germania. Un episodio che Materazzi non ha ancora digerito completamente, soprattutto perché, dice, «la Fifa e al pubblica opinione hanno voluto far passare lui per innocente e me per colpevole». Ma è un altro il giorno che il difensore dell'Inter non dimenticherà mai: il 5 maggio 2002, quando perdendo all'Olimpico di Roma contro la Lazio i nerazzurri "regalarono" lo scudetto alla Juventus: «Una ferita che rimane aperta e purtroppo ce la porteremo avanti per sempre». Sono solo alcuni dei passaggi della chilometrica intervista che Materazzi ha concesso alla trasmissione "I Signori del Calcio", in onda domani sera su Sky Sport 1 HD.
Cosa ricordi del tuo primo giorno all’Inter?
«Un sogno. Avevo davanti Ronaldo, Vieri, Toldo. Fu una bella sensazione. Il rammarico più grande di quell’anno fu di non vincere lo Scudetto perché nessuno si aspettava che potessimo andarci così vicino. Poi sappiamo tutti com’è andata».
È stata comunque un’esperienza quel 5 maggio?
«È una data brutta. Se si guarda solo quel giorno, sbagliammo tutti. Faccio il mea culpa anch’io per quel giorno ma ricordo che a Venezia, quando pareggiammo 1-1, ci fu dato un rigore contro che lo stesso Maniero (ex attaccante Venezia, n.d.r.) ammise che non c’era. Anche a Chievo non ci fu dato un rigore su Ronaldo, cose che alla luce di quello che poi è successo fanno ancora più male perché quello sarebbe stato lo Scudetto più bello, al di là di quelli che ho vinto negli anni successivi».
Hai detto che se tornassi indietro non diresti più ai giocatori della Lazio:“Io uno Scudetto ve l’ho fatto vincere”, riferendoti a Perugia-Juve di qualche anno prima
«No, perché non darei più loro la soddisfazione di poter dire una cosa del genere, tanto quello che era successo, era successo. Non c’era più niente da fare».
Perché è successo quel giorno?
«C’era un ambiente talmente irreale che ancora oggi non mi riesco a dare una spiegazione. La ferita rimane aperta e purtroppo ce la porteremo avanti per sempre».